Videocamere sul luogo di lavoro:non basta il consenso dei dipendenti

di Nunzia Pirro

La Suprema Corte torna a pronunciarsi in merito all’annoso tema dell’installazione di sistemi di videosorveglianza nelle aziende per il controllo dei dipendenti.

L’argomento è di grande attualità ma allo stesso tempo estremante delicato per gli aspetti che va a trattare: privacy, diritti sindacali, tutela dei lavoratori e dei datori di lavoro.

Con la sentenza n 38882/2018 la Corte di Cassazione- sezione penale ha sancito un principio fondamentale rafforzando il vigente orientamento giurisprudenziale. Invero per poter installare impianti di videosorveglianza per il controllo dei lavoratori non basta ottenere il consenso degli stessi: “il consenso del lavoratore all’installazione di un’apparecchiatura di videosorveglianza, in qualsiasi forma (scritta od orale) prestato, non vale a scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato i predetti impianti in violazione delle prescrizioni dettate dalla fattispecie incriminatrice”.

La suddetta pronuncia prende le mosse dal ricorso presentato dal titolare di una ditta esercente attività di bar-gelateria, che basava la propria difesa sul consenso rilasciato da parte dei lavoratori come una scriminante: il ricorrente era stato condannato in primo grado per aver agito in spregio all’art. 4 L.300/70 (Statuto dei Lavoratori). Quest’ultimo prescrive, infatti, che le istallazioni di apparecchiature di videosorveglianza, devono essere sempre precedute dall’accordo tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali dei lavoratori, o, in assenza, dalla richiesta di un provvedimento autorizzativo da parte della Direzione territoriale del lavoro. La ratio di tale procedura, ricordano gli Ermellini nella sentenza in esame, deriva dallo squilibrio tra i lavoratori quali soggetti deboli del rapporto di lavoro subordinato e l’indiscutibile maggiore forza economico-sociale dell’imprenditore: ragion per la quale la procedura codeterminativa sia da ritenersi inderogabile. La Corte ha chiarito che la sproporzione in parola basterebbe al datore di lavoro a fare firmare ai lavoratori, all’atto dell’assunzione, una dichiarazione con cui accettano l’ingresso di qualsiasi tecnologia di controllo per ottenere un consenso viziato, perché ritenuto dal lavoratore stesso condizionante l’assunzione.

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