News ITAInternazionalizzazione: opportunità o vera necessità delle nostre pmi?

E’ generalmente noto, e ormai non solo in patria ma anche all’estero, che la gran parte del sostrato economico del nostro paese è costituito da micro, piccole e medie imprese che, con i loro “piccoli” ma importanti fatturati, testimoniano il “saper fare” delle nostre terre e soprattutto la capacità di fare impresa degli italiani.  La sola Lombardia, prima regione italiana per importanza economica, che genera circa 1/5 del PIL nazionale e che è uno dei quattro motori d’Europa, conta su una popolazione di circa 10 milioni di abitanti ben 313 mila imprese.

Ma cosa significa fare impresa? L’impresa è un sistema sociale-tecnico aperto, ovvero un complesso di parti, beni e persone, che operano scambiando con l’esterno conoscenze e produzione perseguendo lo stesso obiettivo, ossia la produzione di valore. Ma se fare impresa significa produrre valore, per fare impresa bene occorre avere valore da trasmettere e il valore della nostra economia è ben conosciuto in tutto il mondo. Si chiama Made in Italy, terzo marchio al mondo per notorietà, che nel 2016 ha generato circa 1.500 miliardi di dollari di fatturato, posizionandosi al 9° posto tra i paesi – e relativi marchi di provenienza – più performanti del pianeta (Fonte: Brand Finance).

Dati che contrastano fortemente con quelli del nostro mercato interno: un PIL che fatica a crescere, burocrazia e pressione fiscale alle stelle. Le vie che si aprono a un piccolo-medio imprenditore italiano per restare sul mercato non sono molte: sperare in un’auspicabile ma troppo generico intervento legislativo nazionale oppure sfruttare la capacità tutta nostrana di fare business dal basso, valorizzando la nostra creatività e capacità manifatturiera per portarle nel mondo e migliorare la competitività delle imprese italiane. Ciò che occorre è investire nel valore ‘emozionale’ che il Made in Italy ha nell’immaginario degli stranieri; è infatti il brand Made in Italy a rappresentare quella infrastruttura immateriale in grado di proiettare all’estero le imprese italiane.

Il processo di internazionalizzazione, che ai più può sembrare ormai la ricetta “precotta” di consulenti senza scrupoli, rappresenta invece una strada concreta e praticabile per tutti coloro che sono pronti ad accettarne la sfida. Di fronte ad un mercato interno stagnante e poco resiliente, l’opzione di espandere il proprio business all’estero può davvero significare per l’imprenditore italiano l’unica strada per la sopravvivenza della propria impresa. E segnali, per non dire vere e proprie “call” a favore del nostro Made in Italy, provengono da molte parti del globo: da Occidente dove gli Stati Uniti si confermano uno dei principali mercati di destinazione dell’export italiano registrando un +35,8% rispetto al 2016, e da Oriente dove gli investimenti in Made in Italy sono aumentati con sempre maggiore attenzione alle Mpmi italiane, basti pensare non solo alle clamorose acquisizioni cinesi in campo sportivo ma anche alla recente costituzione di Mei.com, divisione del colosso cinese Alibaba che mira esclusivamente a portare il lusso e la qualità italiana in Cina attraverso i suoi scaffali virtuali.
di Alessia Placchi

 

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