News ITAEccesso di zelo? Il datore di lavoro non risponde

di Raffaella Fois

Con la recente pronuncia n. 17438 del 2 settembre 2015, la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi in merito alla sussistenza o meno in capo al datore di lavoro della responsabilità ex art. 2087 c.c. per il danno biologico lamentato da una dipendente a causa dell’eccessivo carico di lavoro, ha definitivamente chiarito contenuto e limiti di tale responsabilità.

I Giudici di legittimità hanno affermato che se da un lato senz’altro l’articolo  2087 c.c. impone al datore di lavoro un obbligo di tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore, obbligo che si concretizza anche nella garanzia di un ambiente di lavoro salubre  e nella previsione di una struttura organizzativa adeguata agli obiettivi prefissati, dall’altro però, poiché il dovere di prevenzione imposto dalla norma non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, “non può desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile e innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che un danno si sia comunque verificato, occorrendo invece che l’evento sia pur sempre riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati”. A tal proposito, proseguono i Giudici, “incombe sul lavoratore che lamenti d aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale fra questi due elementi, gravando invece sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno, sì che non possa essere a lui addebitabile l’inadempimento dell’obbligo di sicurezza previsto dalla norma”.

Nel caso di specie, la dipendente che aveva lamentato un danno biologico da “superlavoro”, si era fatta carico spontaneamente, per ragioni di ordine morale, del lavoro affidato ad altri colleghi, senza che il datore di lavoro avesse preteso la prestazione di lavoro straordinario o avesse prospettato la possibilità di reputare la stessa responsabile del malfunzionamento del servizio assegnato.

Proprio la scelta personale del lavoratore ha determinato l’interruzione del nesso causale tra evento dannoso e condotta del datore di lavoro e il conseguente mancato riconoscimento della tutela risarcitoria invocata.

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